Il Palazzo Comitale del Castello di San Severino (1076 - 1496 ca.)
Castello di Mercato S. Severino (SA). Palatium castri. Residenza e strumento politico del ramo primario della nobile famiglia Sanseverino, il Palazzo comitale del castello di San Severino palesa tutta una serie di rimaneggiamenti susseguitisi nei suoi quattro secoli di funzionalità. Particolarmente interessanti risultano essere gli interventi civili e militari apportati, in epoca Angioina, per la sua trasformazione a Palazzo fortezza.
Tali lavori, infatti, furono voluti sia al fine di migliorare la qualità domestica della struttura, ad esempio attraverso la costruzione di nuovi e più comodi locali adibiti ad uso abitativo del signore e dei suoi famigliari, che per rispondere all'avvento delle armi da fuoco, giacché le vecchie mura castellane si presentavano troppo sottili per fronteggiare i colpi dell'artiglieria.




Di seguito riportiamo una largizione di Guglielmo I di San Severino, dopo il suo rientro nei feudi paterni. Il Sanseverino, insieme a suo cognato il conte di Avellino Ruggero de Aquila, fu accusato di aver congiurato ai danni del re di Sicilia, Guglielmo I detto il Malo; inoltre, il conte di Avellino era anche colpevole di aver sposato Marotta Sanseverino, sorella maggiore di Guglielmo, senza aver prima ottenuto l'assenso regio.
Nell'attuale chiesa di Sant'Antonio, appartente all'Ordine dei Frati Minori, innalzata a metà del Trecento (1358) nel borgo di Mercato, "in loco tamen ad hoc congruo" - come recita la Bolla di fondazione del convento, emanata il 6 agosto del 1358 da papa Innocenzo VI -, vi è ancora oggi conservato il mausoleo funebre di uno dei personaggi più emblematici della famiglia Sanseverino. Tommaso (III): è questo il nome a lui conferito dal padre Enrico e dalla madre Ilaria di Lauria, sicuramente in onore del nonno paterno, Tommaso II (m. 1324), eroe filo-angioino della rivolta dei Vespri siciliani.
Quattordici anni dopo la morte del fratello Tommaso, Donna Teodora d'Aquino, moglie del conte Ruggero II di San Severino, domandò all'abate di Fossanova, Pietro da Monte San Giovanni, una reliquia dell'Aquinate, in quegli anni non ancora canonizzato. L'abate, allora, conoscendo il forte legame che aveva unito Tommaso con la sorella Teodora, recise la mano destra del Maestro, la stessa che, in vita, contribuì a gettare le basi teologiche e filosofiche della Chiesa cattolica. Avuta la sacra spoglia, la contessa di San Severino la fece collocare in un posto accessibile alle masse - così da non precludere in nessun modo l'accesso ai fedeli -, ove già da tempo venivano conservate anche le altre reliquie, ossia la chiesa di San Severino, come riportato dal documento coevo:
Innalzata nell'estremo versante sud-ovest del castrum, la torre, a pianta quadrata, era provvista di merlatura piana, ormai completamente perduta, e cisterna sottostante, ancora oggi per buona parte intatta. Il suo rimaneggiato dovette avvenire a scopi bellici; infatti, la parte frontale evidenzia un'apertura circolare, realizzata mediante la foratura e sagomatura di un tufo grigio, atta ad ospitare all'interno le armi da fuoco. È da notare l'assenza della base a scarpa e della massiccia mole, come ci si dovrebbe aspettare invece per una struttura vocata a fronteggiare l'artiglieria.
Presente su sette documenti, dal novembre 1081 all'agosto 1087, il sigillo cereo oviforme è di colore marrone e reca la scritta in senso orario, a lettere capitali a rilievo, [T]ROGISI DE ROTA. Al centro vi è raffigurata la vittoria, personificata da una donna nell'atto di incoronare un uomo inginocchiato (cavaliere?). Secondo la Galante, è possibile che il sigillo, creato presumibilmente su una vecchia matrice del capostipite Troisio de Rota, venisse utilizzato dai suoi immediati successori al fine di autenticare i documenti.