
(eravamo rimasti...) Rientrando nella corte palaziale, oltrepassiamo l'arco a tutto sesto ancora superstite e giungiamo all'interno di quelle che furono le stanze del Palazzo poste a ostro-ponente, delle quali, ormai, non restano che poche tracce perimetrali. All'epoca, da questi ambienti, si accedeva alla cappella palatina o chiesa di S. Maria de Castro, come si fa premura d'informarci un documento datato 5 settembre 1252. In origine, l'aula, era composta da un unico vano di circa 85 metri quadri,
considerando completa l'ultima arcata di tramontana-ponente, che, allo stato attuale, risulta essere solo metà. Siamo nel luogo più sacro dell'intero complesso castellano. Qui, fra queste oggi antiche e spoglie mura, che videro nobili gesta di cavalieri e dame, nei primordi dell'anno del Signore 1274, a S. Tommaso d'Aquino, per grazia Divina, furono dissipate le nebbie che avvolgono l'intelletto umano, rendendolo partecipe delle conoscenze di Dio. In questa cappella, quindi, l'Aquinate, ebbe la sua ultima estasi, per poi morire, qualche mese dopo, nell'abbazia di Fossanova, mentre era in cammino verso Lione, al Concilio indetto da papa Gregorio X. Correva l'anno 7 marzo 1274. Dal 1288 al 1317, per volere della contessa Teodora d'Aquino, moglie del nobile Ruggero II Sanseverino e sorella del Aquinate, questo sacro tempio, custodì, fra le sue tante reliquie, la mano destra del Santo, divenendo meta di pellegrinaggio da parte di una moltitudine di fedeli.
Il locale è collocato in direzione oriente-ponente; un tempo la copertura, ormai completamente scomparsa, era costituita da volte ogivali che, insieme alla grande abside centrale e alle pareti laterali, denotano una configurazione architettonica di stampo gotica. L'abside, inoltre, è provvista di una grossa feritoia rivolta verso levante (che si apre nella corte interna), da cui recuperava la luce naturale per l'illuminazione della stanza. Non a caso, per analogia, le absidi delle chiese, venivano costruite verso levante, così da captare le prime luci del nuovo giorno (luce nuova = Dio), che spazzavano via le tenebre della notte ( il Male).
Il paramento di tramontana, reca parziali tracce di pittura appartenenti alla raffigurazione di Santi, ancora in parte visibili negli anni Venti del secolo scorso e di cui conosciamo i tratti, solo grazie a dei sublimi disegni a penna realizzati, in quegli anni, dal professore Raffaele Santoro, emerito sanseverinese, che ebbe a cuore la storia della sua cittadina. A poca distanza da questo punto, si apre nel piano pavimentario una botola, la cui discesa, attraverso una ormai scomparsa scala in pietra, menava nella cripta funeraria del Palazzo. Ad oggi, nessuno dei castelli presenti sull'asse Serino-Sarno, compreso quello di Salerno, possono vantare una così prestigiosa opera. La cripta, oltre che ad accogliere le spoglie mortali dei Signori Sanseverino, rappresentava, il prestigio politico e sociale raggiunto da quello che, senza ombra di dubbio, alla luce della storia odierna, fu uno dei casati più potenti e temuti d'Italia.
Per comprendere bene l'importante ruolo assunto dal Castello di S. Severino nella realtà del tempo, dobbiamo considerare che, dalla seconda metà dell'anno Mille (quando fu costruito), fino agli anni '30 del secolo XIII -precisamente fino agli anni 1237/38, allora feudatario Tommaso I- la fortezza sanseverinese, fu abitazione principale della famiglia omonima e centro politico - amministrativo di un vasto e fiorente territorio, come dimostra anche il numero di militi richiesto nel "Catalogus Baronum" normanno (1150-1168)… (continua)
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Appunti di Storia Sanseverinese, "Il Castello di Mercato S. Severino"

Riceviamo e pubblichiamo volentieri un intervento del
Dott. Michele Cerrato.
Presidente dell'Archeoclub Troisio de Rota - Mercato S. Severino.
La lingua usata nella stesura della seguente descrizione è stata intenzionalmente voluta dall'autore.

