
(eravamo rimasti... ) A rafforzare ulteriormente questa nostra ipotesi, ci viene in aiuto l'esistenza, fra la nobiltà italiana, di un secondo stemma identico, in tutto e per tutto, a quello "sanseverinesco" (fatto questo assai singolare visto che i blasoni dovevano essere personali e rappresentare una sorta di carta d'identità, meglio ancora dire una impronta digitale di famiglia), blasonato anch'esso: "d'argento, alla fascia rossa", antecedente di sedici anni (sicuri?) rispetto a quello dei Sanseverino e avente addirittura la medesima storia circa la sua origine.
Di contro, la sua narrazione fu incentrata sulla figura di un loro antenato di nome Pietro Zorzi, il quale "nell' anno 1250, essendo Generale delle forze della Serenissima Repubblica, scorrendo trionfante li mari, rese tributaria l'isola di Rodi, dominata da Simeone Gaulo e portatosi a rimettere nell'ubbidienza il proprio stato di Curzola, havendo nell'ardor della pugna perso il suo stendardo, espose alle milizie per supplir all'insegne un lino intinto nel proprio Sangue che vincitor volse lasciar à Posteri per l'arma della famiglia , come eterno monumento all'Impresa e stimolo all'ardor d'imitar la sua generosità". La trama è affine! Si riconoscono pure in questo caso i tratti eroici del personaggio che, attraverso le sue gesta, avrebbe dovuto donare lustro all'intera famiglia, oltre, naturalmente, alle forti similitudini con l'impresa di Ruggero II a Benevento. L''esclusività delle armi, però, doveva essere ragione essenziale per i Maestri d'Armi, poiché proprio mediante la loro lettura riuscivano a individuare con sicurezza la persona, la famiglia o anche solo il ramo di essa a cui riconduceva il blasone. Agli stessi discendenti collaterali delle famiglie nobiliari, infatti, non fu consentito possedere lo stemma puro, detenuto in forma esclusiva dal ramo primario, ma bisognava apportarci un chiaro segno distintivo (brisura, labello). È quello che accadde pure fra Tommaso III di San Severino, figlio primogenito di Enrico e nipote di Tommaso II, e Giacomo, conte di Chiaromonte e figlio di secondo letto di Tommaso II. Alla morte del conte Tommaso II (1324) si aprì, fra i due suddetti contendenti, la lite per la successione della contea di Marsico e delle baronie di San Severino e del Cilento. La sentenza, letta in Castel Capuano il 4 giugno - indizi. VII - del 1324, escludeva il conte Giacomo e i suoi eredi dalla detta successione dei feudi, imponendo, inoltre, che gli stemmi di Giacomo velabiliter per lambellos certa distintione notentur, e gli tolse gli altri titoli. Dischiuse le possibili ragioni che, a nostro avviso, spinsero Ruggero II a propendere per la scelta dei colori bianco e rosso, riteniamo che la confusione fra gli stemmi dei Zorzi e dei Sanseverino avvenne in epoca successiva (sec. XIV ?), quando il loro numero iniziò ad aumentare, rendendo i controlli meno capillari; fu così, forse, che furono generati due stemmi identici, appartenenti a due distinte famiglie nobiliari: l'una in Veneto, l'altra nel Regno di Sicilia. A conclusione ci sarebbe anche un'altra possibile prova che fornirebbe ulteriore conferma del colore bianco nel campo dello scudo "sanseverinesco", anche se questa non è più verificabile e meno attendibile. Parliamo della scritta lasciata nel 1551 sul muro del monastero della SS. Pietà del Convento dei Frati Minori Osservanti di San Francesco, nel suo feudo di Diano, dall'ultimo principe di Salerno, don Ferrante Sanseverino, prima di partire per il suo esilio in Francia, da cui non fece mai più ritorno. Storici dell'epoca - fra questi il Summonte, il quale nella sua opera racconta di averla veduta visitando il monastero - narrano che il Principe, mentre passeggiava fra le stanze di detto monastero, rivide le armi e le insigne del suo nobile Casato, dipinte a fresco sui muri - e come ricordato dal Carucci - " le riguardò fissamente, e, quasi vaticinando la sua rovina, scrisse nel campo bianco dell'emblema": "Non più bianco il color, ma tutto intero pardiglio è il campo, o mia perversa sorte, e tra il traverso affumigato e nero". Detto ciò, è pur vero che in araldica il colore argento è diventato in seguito sinonimo di bianco, ma, fino a prova contraria, possiamo quantomeno suggerire di leggere la blasonatura dell'arma dei Sanseverino: "di bianco, alla fascia rossa"?

Riceviamo e pubblichiamo volentieri un intervento del
Dott. Michele Cerrato.
Appunti di Storia Sanseverinese, 2024.

