La Storia

Foto: Antonio De Chiara

 Ricostruzione Palazzo dei SanseverinoL’oppidum di Rota, antica denominazione del territorio attualmente identificato con il comune di Mercato S. Severino, è localizzato nelle immediate adiacenze del castello e si estende per gran parte della vallata fino ai confini del comune di Montoro Inferiore.

In epoca romana, essendo passaggio obbligato tra il lato settentrionale dell’agro nocerino – sarnese e i primi contrafforti dell’avellinese, diviene importante stazione di pedaggio. Rota, quindi, per la sua posizione, è dal tardo antico alla fine dell’alto medioevo il centro della vita economica di tutto il territorio tra Nocera e Serino – Forino. I termini ad Rotas e abitatori de Rota, rilevati in documenti notarili, stanno ad indicare con buona probabilità l’esistenza di un centro  abitato sopravvissuto  alle invasioni almeno fino al 1042. Natella ritiene di aver individuato il luogo ad rotas, dove la tribù Menenia esigeva il pedaggio (rotaticum, da cui Rota), in Oscato, denominato vetegalia, dove si è conservata una funzione daziaria fino ai tempi moderni. Poche le testimonianze di epoca romana presenti sul territorio: una torre a base quadrata nei pressi di S. Angelo in località Marcello, i resti dell’Acquedotto Claudio, costruito nel primo secolo a.C., che taglia il corso Diaz di Mercato S. Severino, le cui tracce sono state rinvenute lungo il tratto di strada ferrata  presso Curteri, alcuni toponimi (Acigliano, Spiano et al.).

Anche a qualche nome di luogo si limitano le tracce di stanziamenti bizantini. (Catavato, Lancusi et al.). L’antico oppidum di Rota viene occupato dai Longobardi intorno al 633, allorquando da Conza e da Benevento dilagarono nelle pianure nocerina e pestana. La distruzione e la scomparsa momentanea della Rota romana sarebbero scaturite dalla opposizione in armi che gli abitanti tentarono al passaggio dei Longobardi diretti alla volta di Salerno e di Nocera.

Anche se la distruzione di Rota non è documentata; va accettata l’ipotesi che la riorganizzazione dell’abitato e del territorio circostante è attuata dai conquistatori secondo modalità tali da rendere stabile la conquista. D’altronde numerosi toponimi germanici (Sala, Galdo, Faraldo, Curteri, Corticelle et al.) lasciano presupporre l’affermazione di un assetto economico e amministrativo di origine longobarda, cioè di un gastaldato affidato ad un funzionario (gastaldo) dipendente dal potere centrale.

Dunque, questi presunti barbari si stabiliscono  nella piana sanseverinese in villaggi che portano il loro segno. Infatti, Pandola, Piazza del Galdo, Galdo, Faraldo, Lombardi, Curteri, Corticelle, S. Martino, S. Angelo, sono toponimi e dedicazioni ecclesiali tipiche dei Longobardi.

Il gastaldato di Rota, definito nella nota divisione dell’848 – 849, ha la sua attestazione documentaria sin dal 798. I suoi confini amministrativi sono l’actum Forinese (verso Avellino), l’actu Nucerie (verso Napoli), Acquamela (verso Salerno) e le Serre di Montoro e di S. Michele (verso est).

Il centro - ecclesiastico civile della valle è la chiesa di S. Maria de Rota, presso Curteri, denominata successivamente S. Marco. Nel suo atrio già nell’803 si riunivano i notai per stendere atti. S. Maria è in seguito plebana maggiore e svolge funzione parrocchiale fino a quando sorge in Mercato un’altra chiesa per il distretto.

Agli inizi del X secolo, quando Rota è divenuto ormai un semplice locum, il centro giuridico - amministrativo si sposta nel castello del Parco. E nello stesso periodo accadde un avvenimento di grande portata storica per la valle: la collocazione da parte del signore locale (il comes rotese o il gastaldo) delle reliquie di S. Severino tra le mura del castello.

Nei documenti dell’epoca S. Severino non compare in alcun documento  per tutto il X secolo. E’ solo con l’avvento del normanno Troisio che viene ripristinata, in luogo di Rota, la denominazione S. Severino. Lo stesso Troisio finisce per assumere il nome di Troisio de Sancto Severino in luogo del precedente Troisio de Rota.

Bibliografia: Testo liberamente tratto da: P. Natella, I Sanseverino di Marsico, una terra un regno, Mercato S. Severino, 1980; P. Peduto, Dalla città di Rota al castello dei Sanseverino: un progetto di scavo territoriale, in “Rassegna storica salernitana”, Salerno, 1988, n. 9, pp. 155-168. 

Con la fuga in Francia di Ferrante avvenuta nell'anno 1551 si estingueva la linea principale dei Sanseverino. L'evento non dovette influire più di tanto sulla situazione generale della valle di San Severino.Dall'esame del movimento demografico dell'intero Stato, nel periodo 1532 - 1694, vi fu, nei primi 60 anni, un incremento considerevole (si passò dai 1.991 fuochi del 1532 ai 3.091 del 1595). Nel secolo successivo, invece, si instaurò un'inversione di tendenza soprattutto a causa della peste del 1656 (la popolazione, infatti, nel 1694 si era ridotta a 2.383 fuochi ). Queste fluttuazioni demografiche non modificarono di molto il quadro socio-economico della valle. Infatti, nel 1754, epoca della pubblicazione del Catasto onciario di San Severino, prosperavano nel luogo più o meno le stesse attività esercitate nel basso Medioevo.Agli inizi della dominazione francese nel mezzogiorno d'Italia (1806) lo Stato di San Severino risultava diviso in quattro quartieri: Mercato, Penta, Acquamela e Calvanico. A sua volta il quartiere Mercato comprendeva i casali: Castelluccio, Lanzara, Fimiani, S. Felice, S. Eustachio, Piazza del Galdo, S. Angelo, Marcella, Carratù, S. Vincenzo, Priscoli, Capo Casale, Torello di Carifi, Carifi, Curteri, Oscato, Spiano, Mercato, Pandola, Acigliano. Il Governo dello Stato di San Severino venne eletto il 26 novembre 1806 nella pubblica Cancellaria di S. Giacomo, luogo solito, e consueto a convocarsi publici, e solenni parlamenti,...
Erano considerati eleggibili solo coloro che possedevano una rendita annua non inferiore a 96 ducati. Risultarono in possesso del "requisito" richiesto 130 candidati, in rappresentanza dei casali dell'intero "Stato". Tra questi furono sorteggiati 30 candidati che, col nome di decurioni, andarono a costituire il Parlamento dello Stato.
Dopo pochi anni lo "Stato" ebbe un nuovo assetto. Infatti, con Decreto Reale del 26 gennaio 1810, fu diviso in tre comuni con amministrazioni autonome. Di quell'anno conosciamo anche il bilancio del comune di San Severino. Le entrate provenivano in massima parte dall'attività commerciale. Infatti circa un quarto di esse derivava dal fitto per l'immissione del grano. Altra entrata rilevante scaturiva dal fitto della zecca de' pesi e misure, che ammontava a circa un sesto delle entrate ordinarie .
Mentre il commercio risultava una delle fonti di reddito più consistenti di Mercato, la situazione si presentava diversa per gli altri casali.L'agricoltura, per esempio, nel 1754 rappresentava per l'intero quartiere Mercato l'attività che contava il maggior numero di addetti (49,7%) . Conosciamo anche lo stato del moggiatico del comune aggiornato al 1810. L'intero territorio, infatti, aveva una superficie pari a 7.800 moggia di cui 3.000 piani e semipiani e il restante montuoso .
L'attività agricola era diversamente distribuita tra i casali del comune. I terreni migliori erano quelli adacquatori, ubicati a valle, in prossimità del torrente Solofrana. In questi terreni abbondavano le colture orticole, come pure diffuse erano le colture del grano e del mais; nei casali di collina dominava, invece, il seminativo vitato con qualche raro oliveto.
Poco diffusa era la pastorizia, nonostante la prevalenza territoriale del bosco. Infatti, da un prospetto redatto il 24 marzo 1811, sul Ratizzo sopra i possessori di animali dell'intero comune, risultavano in attività 17 pastori con 1.563 ovini, divisi tra pecore e capre.Anche le attività artigiane presentavano connotazioni diverse a seconda dei casali in cui si praticavano. A Spiano, per esempio, all'epoca della costituzione del Catasto onciario, su una popolazione attiva di 155 unità, si contavano 41 cofanari e sportellari, 48 scalari e 24 copellari , a Ciorani (che era feudo a sè) abbondavano i pignatari, Costa era la patria degli scalpellini, a S. Angelo operavano i canapai, a Pandola i mannesi, a Carifi gli intagliatori, a Mercato, infine, si contavano numerosi fabbri ferrai, aurifabbri, maccaronari, ecc.
Particolarmente critica, invece, era la situazione delle comunicazioni. Infatti, la viabilità del comune era veramente disastrosa. Per sottolinearne la gravità l'Intendente per il bilancio, nell'approvare nel 1811 l'investimento di 300 ducati per la manutenzione di ponti e strade, annotava: ammette questa partita la maggiore, ed indispensabile necessità per il mantenimento del Commercio, senza del quale verrebbe arretrato quasi all'intutto dalle impratticabili strade, che attualmente sono, che rendono il traffico non solo irrotabile, ma ben anche pericoloso .
Nonostante la irrotabilità delle strade le tariffe di pedaggio a carico di coloro che attraversavano le barriere doganali del comune si presentavano ben differenziate e senza alcuna possibilità di evasione .Mercato restò per lungo tempo il casale dello Stato con il più basso livello demografico. Il motivo di tale ristagno scaturiva dalla presenza delle paludi, che con le loro pestifere esalazioni rendevano l'aria irrespirabile. Per migliorare la salubrità del luogo venne prevista, nel Bilancio comunale del 1811, una spesa di 200 ducati per l'espurgo delle paludi, contro i 94 ducati impiegati l'anno precedente.
Circa l'assistenza medica non si posseggono molti elementi, ma disponiamo di qualche dato in verità poco confortante. Si tratta di un ricorso del 6 ottobre 1807 presentato al Decurionato del Governo di S. Severino da tal Pietro Tenore di Acigliano che, eletto alla distribuzione del sale forzoso, si oppose all'incarico dichiarando di essere continuamente agitato il giorno per la sua carica di medico, e chirurgo.
Non mancavano, invece, le opere di carità ed assistenza, benchè esposte ad ogni genere di sopruso da parte degli amministratori comunali. Limitandoci al casale Mercato, nel 1810, nella Chiesa di S. Giovanni in Palco vi era costituito un luogo pio la cui rendita apparteneva alle Donzelle povere. Nello stesso anno il palazzo di S. Giacomo, oltre ad ospitare il Decurionato del comune, comprendeva anche un Orfanotrofio. Dallo stesso documento si rileva pure che poco meno di 60 anni prima (1750 circa) lo stesso luogo oltre alla ruota ricevitrice de' proietti era provvisto, per commodo della popolazione, di un Monte, denominato Banco di S. Giacomo, dal dispotismo degli amministratori comunali di quell'epoca dilapidato e dismesso, e un Ospedale con annessi sala per gli ammalati, cappella, cucina e forno. Lo stesso documento riferisce che i proietti versavano in uno stato di grande miseria e che la ruota ha bisogno di panni, fascia, di aiuto, di latte...se non si vogliono far perire. 
Una conferma del grave stato di indigenza dei proietti emerge anche da una statistica sul Numero degli esposti del Regno di Napoli relativa agli anni 1785 - 1787. In particolare, nello "Stato" di San Severino, nel periodo in esame la mortalità degli esposti era pari a due su tre.Per completare la descrizione del quadro sociale del luogo riferiamo sulla situazione della pubblica istruzione. Tra gli esiti del Bilancio di previsione per l'anno 1811, in corrispondenza della voce pubblica istruzione, è riportata una nota dalla quale si apprende che la moltitudine dei Casali distanti tra loro, da cui il Comune compreso, non può bastare non uno, ne due Maestri, ma che necessariamente ne bisognano quattro...Più avanti dallo stesso documento apprendiamo che, poichè non si trovano Maestre, che sappiano leggere, scrivere, ed abacare, il Decurionato ha stimato di non progettare alcuna partita per la stessa .
Dal bilancio consuntivo dell'anno precedente risulta, invece, che un solo Maestro è stato in attività in questo Comune per nome Bonaventura Guerrasio ex religioso Antoniano, cui si sono pagati 50 ducati .Per quanto concerne il patrimonio urbano dalla fine del Medioevo al Decennio francese si verificò una crescita molto lenta. Un fatto saliente verificatosi a metà Cinquecento fu il trasferimento della sede del mercato dalla sua sede originaria (Mercato Vecchio) all'interno del centro urbano (oggi Piazza Garibaldi). In contrapposizione al nome della vecchia sede a questa piazza fu dato quello di Mercato Nuovo . Qui si spostarono buona parte dei traffici commerciali, che da allora si sono perpetuati fino ai nostri giorni.
Buona parte di quanto è stato detto sull'espansione urbana di Mercato è scaturita solo da ipotesi, anche se suffragate da fatti più o meno probanti. Dati più circostanziati sono mancati soprattutto per l'assenza di mappe del luogo. Bisogna attendere l'anno 1794 per poter disporre di una rappresentazione cartografica di una certa attendibilità. In quell'anno fu pubblicata la carta del Rizzi Zannoni, che ha un valore notevole per la storia urbana di Mercato, anche perchè costituisce l'unico punto di partenza per comprendere i mutamenti successivi.
All'epoca (1796) Mercato aveva una popolazione di 389 abitanti, più del doppio di quella del 1754, che con le sue 142 anime doveva paragonarsi a poco più di un villaggio . Un incremento di circa 250 abitanti in un tempo relativamente breve e all'interno dello stesso perimetro può considerarsi a buon motivo una vera e propria rivoluzione in termini urbanistici. Il fenomeno di inurbamento verificatosi tra il 1754 e il 1796 è destinato nel breve periodo a restare un fatto isolato. Infatti nel 1810 la popolazione di Mercato si mantenne sui livelli del 1796 (390 abitanti ), con l'incremento di una sola unità in 14 anni (dal 1796 al 1810). La consistenza demografica di Mercato, dunque, era all'epoca veramente irrilevante, specialmente se confrontata con quella degli altri casali dello "Stato", oggi frazioni del comune.
Il motivo del ristagno demografico di Mercato è da attribuire alla presenza delle paludi in un'area prossima al centro abitato (località Faraldo). Se ne ha notizia da una decisione decurionale dell' 8 settembre 1810 tendente allo spostamento del carcere dalla sua sede originaria, in Via del Carcere (oggi via A. Guerrasio), in altro luogo del vicino comune di Fisciano, giacchè l'attuale è insito di cattiva aria e varie volte si rende micidiale ai detenuti... a causa dell'esalazione delle paludi adiacenti. La conferma scaturisce da una voce del bilancio dell'anno 1811, che tra le uscite prevedeva una somma di 200 ducati per lo spurgo delle paludi infestate da erbe che, macerandosi nelle acque stagnanti, rendevano l'aria pestifera e gravosa, nociva alla popolazione, come l'esperienza annosa ha dimostrato, e la perdita stessa di tanti Naturali di San Severino l'ha contestato.Ciononostante il luogo era troppo importante per essere abbandonato. Infatti, al di là delle attività agricole e artigiane, che pure erano consistenti, era rilevante, come si è già detto, l'esercizio del commercio. Il numero delle persone che vivevano a Mercato, dunque, era ridotto allo stretto indispensabile per attendere essenzialmente alle pratiche economiche, amministrative e giuridiche del luogo.

Le attività artigiane

Le attività artigiane

sul territorio sanseverinese

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