Morte di Donato Ragosa, penultimo tra i ciabattini di S. Severino |
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Friday, 19 February 2021 00:00 |
“Ciao, amico Donato – storico calzolaio del Corso; riposa in pace”. È solo uno dei tantissimi post e/o messaggi (tutti di questo tenore o tono) “ricevuti” – sulle pagine social della community di Mercato S. Severino – dal ciabattino Donato Ragosa. “Donatino” – così era affettuosamente denominato – è spirato, volando tra le braccia del Padre nella notte tra il 16 e il 17 febbraio ultimi scorsi, per complicazioni respiratorie (di cui già soffriva prima dell’avvento del Coronavirus) a cui si sono aggiunti problemi cardiaci (molto probabilmente è stato colto, stroncato da un infarto – che gli è risultato fatale). Preesistenti, anch’essi, al periodo del contagio da Covid-19. Era stato sottoposto, in passato ad altri ricoveri; il suo cuore era però generoso – a dispetto degli acciacchi. Tra le personalità – conosciute o meno – del Sanseverinese, a tributare un ultimo messaggio “on line” al caro Ragosa, ecco il cardiologo Carmine Landi; Alessandro Zinno eccetera. Classe 1938, Donato era noto e stimato in città; soprattutto al centralissimo Corso Diaz – dove era sempre presente, nella sua “storica” bottega, assurta a punto di incontro dei Sanseverinesi. Dove accoglieva i tanti amici (ripetiamo) “di sempre” (di una vita): il “musicologo” Carlo Casale; Sergio Zinno e altri. Persona umile, benvoluta, disponibile e accogliente – dotata di grande umanità e di saggezza; non lesinava consigli e motti a coloro che si trovavano a passare dinanzi all’attività nella quale, anche nelle ultime settimane, egli risuolava e/o riparava scarpe e ciabatte; stivali. Tra tacchi e tomaie. Il negozio emanava sempre un acuto, pungente ma “rasserenante” (rassicurante) aroma di colla, mastice, vernici. In tal sede, si poteva chiacchierare del più e del meno – su tutti gli argomenti, dalla politica allo sport. Sulla vita quotidiana e/o “politica” di S. Severino. Senza “tema” di… “delazioni”. Ragosa lascia tre figli. Uno di essi collabora, da tempo, all’allestimento del presepe nella chiesa di S. Antonio al capoluogo. Proprio qui, il 18 febbraio – alle 9.30 – si sono tenuti i funerali. Esequie partecipate, nonostante le norme imposte dall’emergenza contagi da Coronavirus. La salma proveniva dalla morgue (sala mortuaria) dell’ospedale “Gaetano Fucito” – in località Curteri. Come attestano, quindi, sms e dediche su Facebook o su altri network, il Nostro rappresentava per davvero “la memoria storica” della cittadina. Uno degli ultimi artigiani “vecchio stampo”; legati dalla passione al loro degnissimo mestiere. Il suo “maestro” – ci raccontava in un’intervista da noi effettuata (mai, però, pubblicata) degli anni scorsi – è stato il compianto Vincenzo Ansalone. Donatino svolgeva la mansione di “solachianelle” (ovvero risuolava calzature) non per il “vile denaro” – affermava, nel corso del nostro colloquio – bensì per amore del suo mestiere. Dalle 8 del mattino alle 20 di sera, la sua esistenza era al negozio. Invitava le giovani generazioni a impegnarsi, ad imparare la tecnica di professioni “pratiche” quali falegname, barbiere, sarto e appunto “scarparo”. Deplorava il consumismo. S. Severino, in questi giorni, piange dunque un angelo in più nel Cielo. L’ultimo ciabattino della “vecchia guardia” – assieme a un altro “collega” (ancora operoso) che si trova in Piazza Garibaldi – conosciutissima come “mercato delle vacche”; la vicina Piazza XX Settembre, invece, è chiamata “mercato della minestra”. Tra altri personaggi “storici” del centro della Valle Irno, del presente e (soprattutto) del passato, ricordiamo qui Italo Gentile – corniciaio e mecenate, attivo al fine di perpetuare l’amore per l’arte nel paese (scomparso pochi anni orsono); l’edicolante Claudio Sabarese – pure lui deceduto da qualche anno. Anche quest’ultimo era proprietario di un “classico” luogo di ritrovo (e di cultura) a Mercato S. Severino. Si trattava de “L’edicola del Corso”.Tra gli (ulteriori) artigiani ancora in loco, annoveriamo “quelli” de “La bottega della pasta” - in via Trieste (capoluogo) – a cura della famiglia Cristofari (Antonio, Attilio, Ingrid ed altri); ma vi sono altre realtà che insistono (imperterrite) anche nell’era… “moderna” o “contemporanea” della S. Severino di oggi. Sanseverinesi professionali e con retaggi di botteghe di qualità. Nell’intervista che chi scrive ha porto al calzolaio Ragosa nel 2014 – ripetiamo: non apparsa sulle colonne dei giornali – erano contenute domande e curiosità del tipo: “Da quanto tempo lei svolge la professione di calzolaio? La ha ereditata da suo padre?”; “Da quanto tempo lei è attivo a S. Severino? La sua attività è sempre stata al Corso Diaz?”; “Quante scarpe riusciva a riparare da giovane? E adesso?”; “Cosa vorrebbe consigliare ai ragazzi e agli adulti che vogliano intraprendere il suo mestiere – il quale va scomparendo?”; “Come o in cosa è cambiato – a suo parere – il mondo del lavoro, a S. Severino o in Italia?”. Domande di tal genere. Con passione e tanta modestia, Ragosa rispose. Prima di tutto si sentiva (ed era) un Sanseverinese “purosangue” (se così ci è concesso di affermare). Abitava in Vico delle Cretaglie, antico vicolo della cittadina. I suoi… “primi passi” in fabbrica, anche a Cava de’ Tirreni. Egli raccontava, ci narrava (idealmente, come un “nonno”; il “nonno” di tutti noi) che ha cominciato a lavorare da giovanissimo, addirittura a 9 anni. “Rubando” le tecniche e i segreti di quest’occupazione a Vincenzo Ansalone e ad altri “mastri”. Al ciabattino dispiaceva che, ai nostri tempi, molti giovani non andavano più “a bottega”; a “faticare” dagli “scarpari” (anche perché non ve ne sono vivi o non sono disposti a condividere le proprie esperienze e l’arte delle calzature). Puntualizzava, chiarendo che una volta gli adolescenti imparavano un mestiere pratico, non tanto per un lauto guadagno – bensì per “avere una loro, propria autonomia”. Riguardo al numero di scarpe prodotte in una giornata di attività, egli rispondeva che tutto dipendeva dalla tipologia del lavoro; dal modello di scarpe; da quanti clienti entravano al negozio. Indicativamente poteva produrre e/o riparare da cinque a venti paia di calzature. Negli ultimi tempi, Donatino si lamentava (era il 2014, ricordiamolo) della mancanza di commesse. Certamente, il lavoro da effettuare c’era – ma non più come in passato. Tutto dipendeva dalle giornate, più o meno intense, e anche dal consumismo imperante degli ultimissimi e più recenti tempi. Oggi si preferisce comprare scarpe nuove di zecca, anziché ripararle. L’abilità di questo artigiano era evidente soprattutto nell’aggiustare tacchi e suole. Con gli attrezzi giusti: martello; coltello; lesina (non più); particolari macchinari per scarpe (più recentemente). Con passione, il Nostro si augurava che i giovani avessero maggiori opportunità di formarsi, come apprendisti, come garzoni. Ciò in quanto occorreva – secondo il suo pensiero – imparare praticamente (e non solo in modalità teorica) osservando e applicandosi con lena e perizia. Studio e lavoro assieme, dunque, per lo scomparso. Tecnica e manualità. Appunto “rubando”, come accennato sopra, il lavoro ai maestri – da parte degli apprendisti. Ragosa si augurava, al termine dell’intervista, che la sua amata professione non scomparisse del tutto. “Spero – dichiarava – che ci siano ancora persone capaci e volenterose, che possano divenire bravi calzolai”. Anche tramite l’uso delle nuove tecnologie – di cui, però, l’artigiano valutava pro e contro. Per chi scrive, incontrare Donatino Ragosa è stato piacevole e illuminante. Facciamo tesoro dei suoi preziosi consigli, delle parole di un Uomo probo e onesto; egli ha improntato tutta la sua vita a mantenere la coscienza pulita e a guadagnarsi da vivere con impegno; energia; sapienza; entusiasmo. Che sia sempre così, largo ai valori del sacrificio e della dedizione! Riceviamo e pubblichiamo volentieri un articolo della |
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