Come ogni inizio di settembre, ecco perpetuarsi i festeggiamenti in onore di S. Rocco – a Mercato San Severino. Il santo francese, precisamente di Montpellier, ricorre – in realtà – il 16 agosto, ma a San Severino è consuetudine celebrarlo in settembre. Anche per non “accavallarsi” con i festeggiamenti per S. Vincenzo Ferreri, che – dal 5 aprile – vengono effettuati ad agosto. Alcune statue di San Rocco sono conservate in alcune frazioni “alte” di San Severino, un’ulteriore è invece presente nella parrocchia di S. Maria delle Grazie – al centro della cittadina, al capoluogo. La cosiddetta “Parrocchiella”, così denominata per le sue dimensioni.
Proprio qui si terranno i numerosi eventi, in programma sia dal punto di vista religioso che laico, voluti per omaggiare il taumaturgo – patrono (con S. Vincenzo Ferrer e la Madonna del Rosario) dell’antico stato di Sanseverino (sic!). Uno stato, ovvero un’universitas, di una volta - che giungeva fino a Penta, Castel San Giorgio e Siano. Località dove, ancora adesso, è venerato il nobile di Montpellier. A Siano, è l’occasione per assaggiare la braciola di capra e la percoca (varietà di pesca) nel vino – rigorosamente rosso. Veniamo – adesso – al programma stilato dall’apposito comitato festa (da ringraziare, per l’impegno con cui allestisce happening e altro) di San Severino. Le iniziative religiose contemplano il triduo di preghiere, all’indirizzo del santo, in atto da giovedì 5 a sabato 7 settembre – a partire dalle 18.30. Con la recita del SS. Rosario e la successiva celebrazione eucaristica. Domenica 8 – ricorrenza della natività della Madonna, anche se (probabilmente) la Vergine è nata il 5 agosto – alle 8, alle 9.30, alle 11 si terranno le funzioni festive. Con uno sguardo alla vita e alle azioni di Rocco. Alle 19, ecco il classico appuntamento con la processione – che si snoderà attraverso le strade del paese. Assieme a San Rocco, il corteo vede onorarsi anche S. Giuseppe – con l’apposito simulacro. Tra gli spettacoli del programma laico, ricordiamo: l’animazione per bambini, sabato 7 settembre – ore 18.30 – a cura de “Il gatto e la volpe”. Con pop corn e zucchero filato per tutti. Con i gonfiabili. Alle 21.30, presso piazza Garibaldi, ecco l’estrazione della riffa/lotteria dedicata a S. Rocco. Un quarto d’ora dopo, ci sarà uno show di canzoni napoletane – di ieri e di oggi. Domenica 8, ore 8.30, appuntamento con il concerto bandistico. Sarà di scena la banda “Città di Castel San Giorgio”. Il momento clou sarà – però – da viversi alle 20.30 circa. In piazza Imperio, all’arrivo del corteo processionale. Si tratta di uno spettacolo di fuochi pirotecnici, da parte della “Salvati fireworks” – attività molto conosciuta, in tutto il comprensorio. San Rocco deriva il nome da “Hrog” o “Hrock” – “uccello sacro”, forse “corvo”. Denominazione di origine germanica. Era un nobile, vissuto tra il 1350 e il 1379. San Rocco era ed è invocato contro la peste, di cui fu – alfine – affetto. Infatti, nell’iconografia e iconologia popolare, è raffigurato con i bubboni (peste, appunto, bubbonica) che egli indica. Accanto, un cagnolino – che gli reca in dono un panino, “rubato” dalla mensa del padrone (un certo Gottardo). Oltre che per la peste, è stato invocato anche durante la recente pandemia da Covid. La famiglia del Nostro era agiata, i genitori si chiamavano Jean e Libere. Risiedevano a Montpellier. Rocco ebbe un’educazione fortemente improntata al cristianesimo (da parte di madre, particolarmente). Fino ai suoi 20 anni, egli era dedito agli studi. Che seguiva con scrupolo. Dopo la morte dei genitori, uno dopo l’altro, il giovane nobile decise di donare ai bisognosi i suoi beni. Poi si recò in pellegrinaggio a Roma. Quindi come fosse un romeo, un pellegrino – appunto – in viaggio verso Roma. I pellegrini verso Santiago di Compostela, invece, venivano chiamati iacopei; quelli verso la Terra Santa – invece – erano denominati palmieri o gerosolimitani. Secondo alcuni studiosi, Rocco era uno iacopeo, cioè andava piuttosto a Santiago (S. Giacomo maggiore, 25 luglio) che a Roma. Tale tesi è suffragata dalla presenza di una conchiglia: la cappa santa sui suoi abiti. Oltre alla conchiglia, il taumaturgo è ritratto spesso col bordone, il bastone (anche) “pastorale”. In Napoletano è chiamato: “peròccola”. Per questi motivi, gli storici sono più propensi a crederlo lungo il cammino verso San Giacomo. Della figura del romeo ha parlato anche il poeta umanista Francesco Petrarca – figlio di ser Petracco – che attua una similitudine (in una propria lirica) tra lui stesso, che vuole vedere il volto di Laura (la fidanzata), e un romeo. Che ricerca, invece, la Veronica. Il volto di Cristo, impresso – oltre che sulla sindone – su un tessuto con cui S. Veronica (metatesi per “Vera icona”, come Padula lo è per “palude” – oppure Berenice) asciugò il viso di Gesù. Durante la salita al calvario. Per farla breve, tornando a noi dopo tale excursus, Rocco contrasse la peste. Divenne irriconoscibile. Quando morì, attestano testimonianze e/o leggende, era talmente sfigurato da essere riconosciuto o dagli anelli o dai sigilli che recavano i suoi abiti, consunti ma di buona qualità. A San Severino, la Parrocchiella o chiesa di S. Maria delle Grazie, era nota come S. Maria fori Sanseverini. Ovvero: Santa Maria del foro di Sanseverino. Tutto questo, agli inizi del 1300. Solo nel 1591 fu chiamata, appunto, nella maniera che oggi è ricordata. Dedicandola, cioè, alla Vergine delle grazie. L’edificio attuale, ricostruito – in parte – dopo il sisma dell’80, non corrisponde più alla struttura originaria ed ancestrale. Costituita da una croce latina – dai bracci diseguali. Molto interessanti gli studi effettuati su questo bene, su tal monumento – dal Latino: moneo, ti ammonisco, o memento: ricorda!). Sia molti anni fa che recentemente. Da pochi anni, i giovani ed entusiastici don Raffaele De Cristofaro; Rocco Pierri; Gennaro Iannuzzi hanno dato alle stampe alcune corpose e precise opere sui beni ecclesiastici sanseverinesi. Tra cui proprio la chiesetta. Senza nulla togliere agli altri storici e/o autori di saggi degli anni passati. La chiesa parrocchiale di S. Maria delle Grazie “insiste” anche sulla chiesa e parrocchia di S. Giovanni in Parco o in Palco. Zona detta così, forse, per essere il parco o palco di caccia dei principi Sanseverino. La chiesa di S. Giovanni, molto più grande ma altrettanto antica – rispetto alla “parrocchiella” – è ubicata negli spazi adiacenti di Palazzo di Città. Risente dei canoni architettonici ed estetici cinquecenteschi: infatti, il complesso del municipio - con la chiesa suddetta e il campanile (attribuito a Novello di San Lucano, ma non è sicuro) – sembrano sorgere sulle “ceneri” di un convento di frati domenicani. Che bonificarono le paludi sottostanti, erigendo la struttura che oggi funge da palazzo municipale e la chiesa, che rimanda ai rapporti tra S. Giovanni in Laterano e i principi Sanseverino, dei quali nominiamo l’erede Giovanni. La chiesa è a croce latina, c’è un bellissimo e prezioso cappellone, tra gli altri – quello della Madonna del Rosario. Tra elementi architettonici quali unghioni e lunette, emergono affreschi e dipinti molto antichi. Restaurati da anni. In alcuni di tali affreschi si può osservare l’allegoria dell’architettura. In altri, ecco anche rimembrarsi l’antica confraternita o congrega del SS. Rosario. Sempre nella cappella descritta, c’è (o meglio c’era, almeno più “visibilmente”) un antico pavimento maiolicato. Dai colori simili a quelli del monastero di S. Chiara, a Napoli. Altre bellezze sono osservabili nella chiesa di S. Giovanni. Ricca di storia. E di statue come quella di S. Tommaso d’Aquino, di S. Vincenzo Ferreri, altri simulacri. Abbiamo detto prima che il municipio e la chiesa sembrano cinquecenteschi. In realtà, ci sono – di certo – elementi costruttivi che conducono al periodo rinascimentale. Ma vi sono altre, affascinanti, tesi – per giustificare, invece, la presenza di maestranze settecentesche. Difatti, il Comune è detto Palazzo Vanvitelliano. Dagli studi dello storico autodidatta Gaetano Izzo (Castel San Giorgio), non volendo svilire o confutare gli altri egregi studi, compiuti dall’architetto Giuseppe Pizzo (sanseverinese) – che avvalora l’ipotesi per cui il Comune e la chiesa sono del ‘500 – l’impiantito di Palazzo di Città è settecentesco. Realizzazione voluta – secondo Izzo – dal costruttore Carmine Calvanese, seguendo i disegni e la direzione dell’ingegnere napoletano Michelangelo Arinelli. Il dibattito è ancora acceso, in attesa di ulteriori e nuove documentazioni. Ma è certo che il culto verso Rocco è ancora più antico od ancestrale. Ci auguriamo che possa vivere, anche in futuro, la devozione più autentica dei Sanseverinesi. Anche giovani e giovanissimi!
Riceviamo e pubblichiamo volentieri un articolo della
Dott.ssa Anna Maria Noia.