storia

S. Angelo è un paese molto antico. Infatti c’è una torre romana che prende il nome dal generale M. Claudio Marcello. La prima chiesa edificata a S. Angelo è stata voluta da due longobardi, i germani Pietro e Guaiferio, che la fecero edificare a proprie spese in onore dell’arcangelo Michele. In questa chiesa S. Alfonso vi predicò due S. Missioni: nel 1737 e nel 1748. Altra chiesa importante è quella di Maria SS. Del Rosario, edificata nella prima metà del XVI sec. L’interno è composto da una bellissima aula rettangolare. L’organo è del settecento, come pure il campanile. Nel 1767 la confraternita ebbe riconoscimento giuridico; tale confraternita ogni anno distribuiva la dote alle fanciulle povere tramite un Monte di Maritaggi. Sant’Angelo, che comprende nel suo tenimento anche l’aggregato urbano di Carratù, è un casale dalle origine molto antiche. La presenza romana è testimoniata dalla Torre che prese il nome da M. Claudio Marcello. La dominazione longobarda ha invece lasciato traccia nel toponimo Sant’Angelo, dedicazione ecclesiale propria di quel popolo. A poca distanza dall’antica Chiesa Longobarda dedicata a Sant’Angelo, è situata quella del Santissimo Rosario, sorta nel XVI secolo, che presenta un maestoso campanile settecentesco. Nel luogo detto “abbascio Sant’Angelo” venne costruita, nel 1649, la chiesa di San Giovanni Battista, ad opera della potente famiglia Giordano, la quale fondò anche il Monte dei Morti per promuovere opere di assistenza sociale. Sant’Angelo nell’Ottocento presentava la fisionomia urbana di un casale alquanto grande che si snodava lungo l’imponente arterie di traffico delle Camerelle. Le case costruite in tufo grigio con tetti a più spioventi, erano addossate le une alle altre a vari livelli. Nel 1817, per una popolazione 562 abitanti, le case erano 113.

La presenza dei canapari era antica: infatti fino a tutto il secolo XVIII il paese fu denominato “Sant’Angelo ad maceratam” per la lavorazione della canapa che era lasciata a macerare in sacchi nelle anse del torrente Solofrana, la cui corrente era costretta a ristagnare da rudimentali muri in pietrame. Il villaggio, a quell’epoca, era soggetto a ricorrenti inondazioni ed alluvioni che, riversando l’acqua al di sopra dei ponti, allagavano le case e le strade. L’industria dei panni di lana e dell’abbigliamento, che impegnava cardalana, tessitori, sarti e cappellai, interessava anche i limitrofi casali di Piazza del Galdo, Acquarola, Sant’Eustachio e San Felice.

Sant’Angelo era uno dei casali più ricchi di edifici architettonicamente significativi, un decoro urbano che trova riscontro nell’articolata composizione sociale. Le 5 dimore signorili, censite nella seconda classe, appartenevano a famiglie notabili del paese: i D’Amato, i Grieco, i Fucito e due ai Giordano. Vi erano anche tre abitazioni accatastate nella terza classe di proprietà del benestante De Crescenzo, del medico Fuscolo e degli eredi dell’ex Barone Marciani. I 562 abitanti di Sant’Angelo vivevano in 113 case con una media di 5 persone di abitazione. Questo indice di affollamento abitanti/case era perfettamente uguale alla media complessiva di tutti i centri del comune. Nel corso di circa settant’anni la consistenza urbana non varierà di molto, nel 1881 verranno censite 134 case. Molto diffusi nella toponomastica di questo villaggio, come in tanti paesi della  Valle dell’Irno, erano i toponimi nei quali ricorrevano cognomi di famiglie, come nel rione denominato Casa Giordano. Altri vicoli interni al tessuto urbano di Sant’Angelo erano: Casa Graziano, Casa Coppola, Casa Tufano, Casa Fasano, Casa Fuscolo, Casa D’Amato, Casa Grieco, Vico Palazzo; vico I e II Canapai erano invece così denominati per la prevalenza delle abitazioni artigiane. Tra le strade che collegavano questo agli altri casali abbiamo la via Dogare che si dipartiva dal ponte sul torrente Solofrana, attraversava la località detta Cupa di Costa per allacciarsi alla provinciale Codola. Le comunali Tufare e Volto Cellaro conducevano ad Acquarola, mentre la via Carratù all’aggregato omonimo. Infine, la vicinale Abbadessa collegava Carratù alla Collina di Sant’Elia.